Al giorno d’oggi, i ragazzi della mia generazione si trovano di fronte a un dato di fatto imprescindibile: è difficile pianificare.
Hai in mente di realizzare un progetto?
Qualsiasi esso sia, non sai effettivamente, se dopo un ragionevole lasso di tempo di duro lavoro, sforzi e sacrifici, arriverai all’obbiettivo che ti eri prefisso.
Perché il mondo è veloce, così come tutte le istituzioni che lo reggono. Subiscono costanti trasformazioni.
Per esempio a noi giovani viene chiesto, sia nel lavoro che in altri ambiti, di essere multitasking, cioè di saper fare più cose contemporaneamente. Bisogna essere flessibili e dotati di una spiccata capacità di infondersi forza e coraggio da soli, di fronte ai cambiamenti incessanti e sempre più ravvicinati.
Con tutto questo rimbalzare da un punto all’altro, non fai in tempo a sedimentare le esperienze che vivi .
Non hai momenti di pace, di raccoglimento e di silenzio.
Corri tutto il giorno e alla fine ti sembra di non aver fatto nulla, smetti di pensare mentre fai una cosa, e così ti ritrovi ad agire meccanicamente come se fossi ad una catena di montaggio.
Il tuo cervello si sintonizza sulla modalità “cancella” quando ti appresti a fare un’altra esperienza, perché non c’è spazio per conservarne la precedente.
Solo poche generazioni fa, i nostri genitori avevano la possibilità di scegliere una strada e di perseguirla fino in fondo avendo poi la certezza di arrivare agli obbiettivi della scaletta mentale che si erano fatti tempi addietro. E ce la facevano. Non importava quale fosse l’obbiettivo. Se fosse ambizioso o meno. Loro ci arrivavano.
Oggi i ragazzi sono costretti a reinventarsi in continuazione.
Inizi a lavorare in un settore?
Domani non hai la certezza di rimanerci.
I contratti sono a breve a termine, i rapporti con i collaboratori sono superficiali freddi e molto competitivi, dominati dal pregiudizio, dall’arroganza e dall’invidia. Nel maggior parte dei casi non hai possibilità di acquisire un bagaglio di esperienza tale da determinare la tua crescita e la conseguente autostima.
Tutto appare stagnante.
Quando si entra in una nuova realtà lavorativa si è entusiasti per il primissimo periodo, ma poi cresce l’insoddisfazione di non riuscire a far vedere tutto il proprio potenziale.
Molto spesso i giovani sono costretti a lavorare in settori che non gli competono perché nel loro non trovano per il momento uno spiraglio di luce. E allora il coraggio lo si deve trovare addirittura giornalmente: ogni mattina si alzano già sottotono, perché andranno a spendere le loro ore preziose in luoghi nei quali non c’entrano niente. Ma lo fanno perché hanno bisogno di mettere via dei soldi, di mantenersi gli studi, di rendersi indipendenti dai loro genitori, o semplicemente di vivere tante esperienze e realtà per capire la strada che devono seguire.
E allora ogni mattina aprono gli occhi e si abituano a sorridere forzatamente per dimostrare che va tutto bene mentre dentro si vorrebbe spaccare tutto.
Si accontentano di lavorare in un settore che non fa uscire tutta la loro energia, creatività e passione, con il presentimento che domani quello stesso settore li sputerà fuori senza aver acquisito un’esperienza tale da rimettersi in gioco altrove.
Convivono con diverse paure. Per esempio quella di non essere accettati dai gruppi temporanei di cui fanno parte. Hanno la tensione di voler sempre dimostrare qualcosa e di non avere il tempo necessario per farlo vedere.
Si annoiano e non sanno come nasconderlo.
Si rifugiano nelle dipendenze per non pensare.
Si riducono a tagliare le gambe ai sogni che non vogliono del tutto abbandonarli, quindi restano mutilati in qualche anfratto della loro mente.
E poi un giorno poco lontano aprono gli occhi e si ritrovano catapultati in una nuova realtà a ricominciare tutto daccapo. Nuovo ambiente, nuovi colleghi, nuove cose da imparare completamente diverse dalle precedenti, nuove regole alle quali abituarsi. In una ripetizione continua.
I giovani devono ripartire sempre da zero. Non si intravede un minimo di progettualità nelle loro storie.
Questo è un percepire comune a molti miei coetanei.
Non sei certo di cosa il domani ti riserverà, quindi il messaggio sottointeso è quello di appiattirsi per evitare rischi di ogni sorta, sopravvivere e accontentarsi con qualche sfogo serale alcoolico. Dopo ci si meraviglia perché alle serate dei week end si assiste alla più totale mancanza di controllo. I ragazzi sono maledettamente frustrati. Sono un esercito di animali in gabbia. E se si libera la gabbia di sabato cosa si pretende? Che restino aggrappati alle sbarre della loro prigione? Escono a prendere la loro dose d’aria.
E’ da un paio di anni che sono stufa di aggregarmi come una pecora a questa maggioranza. Ogni sera prima di dormire mi chiedevo se era possibile stravolgere questa routine, intravedere una via diversa.
Ho iniziato a leggere storie di giovani della mia stessa età che vivono con degli obiettivi e che ce la fanno a realizzare progetti, su un quotidiano che mi ha fatto conoscere mio padre. Ho iniziato a prendere come riferimenti persone diverse, intraprendenti, con poca voglia di lamentarsi e tanta voglia di fare. Il loro entusiasmo mi ha contagiata e mi ha fatto pensare che forse non tutto è impossibile, e che nonostante gli impedimenti che ci sono oggi, una strada la si può sempre trovare. Il proprio sogno lo si può coltivare.
Quindi:
Vivere alla giornata? NO grazie.
Temere il futuro? No grazie.
QUI e ORA? Si grazie.
Cosa intendo per qui e ora?
Il mio obbiettivo è vivere intensamente il momento presente facendo ciò che mi fa vibrare.
Ho stabilito una mia tabella di marcia e sono partita senza pormi troppi se, ma e perché.
Per una buona volta ho dato retta solamente al mio istinto eliminando i gufi che gufano, le civette che civettano, le vittime che vittimizzano.
So solo che chi si sente dentro un’ energia forte che lo conduce verso qualcosa ha il dovere verso se stesso di seguirla. Questa chiamata se la si reprime, vorrà sempre uscire.
Chi si arrende di fronte a questo e non combatte, perde la possibilità di incontrare la felicità.
Sono arrivata alla consapevolezza che questo mondo difficile sta chiedendo una cosa importante a noi giovani: di provare a progettare nonostante tutto sembri remarci contro.
È questa la sfida che dobbiamo affrontare.
Personalmente, ho deciso di vivere con l’arte nelle vene. Da un anno a questa parte ho iniziato a prendere seriamente in considerazione di trasformare la mia passione in professione.
Ho deciso di vivere per l’arte perché è l’unica cosa che mi radica e che mi dà un punto fermo.
Quando mi dedico ad un progetto mi sento invadere da una sensazione di concretezza e stabilità. Per quello lo faccio. E continuo.
Nella mia arte cerco di fare ciò che non riesco a concretizzare in vita. Progetto. Pianifico. Mi muovo sicura. E cerco di portare a termine.
Ma ciò che mi preme dire è che il progettare in se mi aiuta a vivere il mio tempo in maniera consapevole e mi dà la piacevole sensazione di appartenere a qualcosa seppur per un periodo limitato.
Ci sono giovani che hanno tanti altri progetti fantastici in mente, che possiedono talenti consapevoli o non ancora espressi.
La paura che ci domina è quella della demotivazione, dell’insicurezza cronica, del non credere fermamente nelle nostre potenzialità.
Devi essere connesso per inviare un commento.