La prima cosa bella è un film del 2010 diretto da Paolo Virzì.
È un’ estate degli anni ’70. Ci troviamo in una calda Livorno. Una famiglia apparentemente felice e spensierata sta assistendo all’elezione di Miss Pancaldi, celebrata nel suo storico stabilimento balneare.
Anna viene incoronata mamma più bella sotto gli occhi sbigottiti del figlio maggiore Bruno, il gioioso delirio della più piccola Valeria, e la reazione indecifrabile del marito, prima fiero, poi accigliato e pensieroso, immerso in una grossa nube di fumo grigio.
Anna, dopo essersi fatta fotografare tra i due presentatori della serata, ritorna a sedersi al tavolo dove è riunita la sua famiglia. Il marito geloso le urla addosso.
Questo evento iniziale del film sembra essere il fatto che scatena totale scompiglio nella famiglia Michelucci che da quel momento non sarà più la stessa.
La seconda scena si apre forse l’inverno seguente. Sono in casa e si litiga furiosamente. Mamma Anna viene colpita più volte e fatta cadere per terra. La solita scenata di gelosia? Non si sa. Anna prende i bambini, i loro cappotti, qualche cianfrusaglia e si lascia quella casa alle spalle.
Da questo momento in poi gli occhi attraverso cui viviamo le vicende dei Michelucci sono quelli di Bruno, il figlio maschio silenzioso, l’osservatore imbronciato e sensibile.
Nella scena successiva troviamo un Bruno adulto, quasi quarantenne. Vive a Milano, molto lontano dalla Livorno della sua infanzia. Convive con la fidanzata coinquilina con cui non riesce a immaginarsi neanche al giorno seguente. Fa il professore di lettere. Non ride mai. Ha gli occhi tristi. Zero progetti, zero sogni. Ha l’abitudine di scollegarsi e di passare più tempo da solo sdraiato sull’erba a farsi un altro genere di erba che a relazionarsi seriamente con gli altri.
Nel momento in cui sua sorella lo contatta per fargli sapere che la loro madre sta morendo, qualcosa cambia.
All’inizio cerca di fuggire come aveva fatto da adolescente dalla casa materna.
Poi ritorna là, nella sua terra natia, ad affrontare ciò che aveva evitato per anni.
Incontra di nuovo la sua mamma, questa volta malata, ormai priva di quella straordinaria bellezza che aveva creato così tanti problemi alla sua famiglia.
Il film è tutto giocato su un continuo zapping tra presente e passato, come se tra di essi ci fosse ancora un legame troppo inscindibile e il passato non fosse ancora del tutto superato e rielaborato.
Bruno ripercorrerà ogni singolo istante e aiutato dalla madre e dalla sorella rimetterà insieme il puzzle dei ricordi, farà luce sulle dinamiche della sua famiglia ritrovando la fiducia di aprirsi con il prossimo.
Con questa madre agli sgoccioli, con questa madre che “non conosceva bene” e di cui aveva travisato molte azioni e gesti, Bruno ricuce un rapporto, si lascia abbracciare e, seppure impacciato, si arrende all’espansività di lei e si fa condurre nella danza.
Ho trovato questo film molto bello ed emozionante. Sono quei film che non si dimenticano facilmente. Un film al termine del quale lo spettatore sente dentro di sè un miscuglio di sentimenti contrastanti sia positivi che negativi che si scarica piano piano lasciando totale spazio a quello stato di dolce speranza.
È un film pieno d’amore. L’amore si respira ovunque pur essendo maledettamente imperfetto. Quello dei personaggi è un amore possessivo, morboso, fatto di fughe e riavvicinamenti, esplosivo, passionale, un amore che ti lacera nell’ incertezza. Amore di eccessi. Amore di bianco o nero.
L’amore qui non è fatto di sfumature, non è vissuto indirizzando le pulsioni e incanalandole in un equilibrio raggiunto con sacrificio e perdono. I problemi relazionali, causati da un’ eccessiva impulsività e animalità, non vengono affrontati, ma accantonati.
Non ci si parla, si urla. Non si dialoga civilmente, ci si volta e si molla tutto come una liberazione. Non si decide di restare nelle difficoltà, si decide, con la stessa irrazionalità e violenza che scatena i litigi, di andarsene abbandonando il campo di battaglia. Ci si pente solo quando si è lontani l’uno dall’altra e ormai nulla è più recuperabile. Emblematica la scena del padre, ricoverato in ospedale malato di tumore, che scrive una lettera alla ex moglie…pentito e desideroso di ricominciare. Ma è troppo tardi!
In questo film tutti si amano disperatamente perché non sono capaci di parlarsi, comprendersi, di chiedersi scusa, di perdonarsi. Gli adulti non trovano le parole giuste. E i bambini? Vivono come spettatori, ma muti, incapaci di dare un giudizio perché per loro ogni esperienza è nuova e quindi non sanno come affrontarla. Subiscono gli errori dei genitori, li metabolizzano e inconsapevolmente da grandi li riprodurranno identici perché non perfettamente elaborati. Nessuno spiega ai bambini quello che succede: sono contesi fra gli adulti che se li strappano di mano senza nessuna preoccupazione per i loro sentimenti, nessuna scusa, nessuna assunzione di responsabilità, nessun progetto che non sia quello di tenerseli ben stretti. Neanche quella terribile sera in cui lasciano la casa paterna, mamma Anna spiega ai piccoli cosa si sta verificando. L’unica cosa che le viene è sdrammatizzare, cantando. Canta che ti passa! Ma poi passa? Questo “canta che ti passa” riecheggia nella vita adulta di Bruno, che si fa di erba per tirarsi un pochino su…Drogati che ti passa…
La madre propone ai suoi figli qualcosa che assomiglia a una fuga, che dà momentaneo sollievo lasciando irrisolti i problemi… ma è inutile!Il dolore non va via. Lo si vede chiaramente sia negli occhi di Bruno, che in quelli della sorella Valeria, da adulti. C’è un velo costante di malinconia che nasconde sotto di esso un disperato richiamo di aiuto.
Ma quest’ultimo non viene accolto dai più. Perché se non ti apri e non permetti agli altri di vivere attraverso i tuoi occhi come fai a star meglio?
Quando finalmente tutti si parlano, le cose incominciano a cambiare e a migliorare. In fondo, l’amore e le parole li salveranno.
La prima cosa bella è un film che fa capire molte cose sulla famiglia in quanto tale: all’interno di ognuna di esse è presente una dinamica sottesa e un nodo da sciogliere.
In fondo la vita di ognuno è un lento capire la propria personalità attraverso la ricostruzione paziente degli eventi che hanno caratterizzato la propria infanzia.
I bambini sono così innocenti. Assorbono tutto come spugne senza filtri come se fosse tutto normale. Non hanno capacità di discernimento. Da adulti tutti gli scheletri nell’armadio verranno fuori sotto forma di domande insistenti. Ci si chiederà di notte, tra una lacrima e l’altra, ma perché reagisco così? Ma da dove deriva tutto questo mio modo di essere?
La risposta sta nell’infanzia. La ribellione e le domande stanno nell’adolescenza. La consapevolezza e la serenità ritrovata a seguito dell’accettazione di se stessi nell’età adulta.
È un lungo percorso. Ma ognuno di noi arriverà sicuramente a quel bagno nel mare, quello che ha fatto Bruno alla fine del film insieme alla sua fidanzata. Un bagno che lava via e depura, e ti fa uscire con occhi nuovi e bagnati di luce.
La prima cosa bella!
Stay tuned!
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