Sabato scorso sono stata alla festa di fine anno della scuola dove insegna mia zia e ho avuto la possibilità di conoscere un artista bresciano, nativo di Palazzolo sull’Oglio. Primo Formenti. Classe 1941. Abbiamo chiacchierato a lungo dei nostri percorsi artistici scambiandoci punti di vista e discutendo sull’attuale mondo dell’arte.
Ma una delle cose che mi ha colpito di più della nostra conversazione e su cui costruisco la traccia tematica del post di oggi, è il fatto che ci sentivamo in sintonia su un concetto chiaro: la comune consapevolezza di avere come compagna di viaggio perenne la sofferenza.
Dove per sofferenza si intende uno stato interiore di acuta sensibilità che ti fa vedere cose che ai più risultano illeggibili. Tutto ciò si traduce nell’urgenza viscerale di esprimersi, di trovare un medium per comunicare all’esterno la propria ricerca.
Si è detto all’unisono: “Si fa arte perché non si può farne a meno. Se per un motivo o per l’altro si rinunciasse, si starebbe male, o meglio si vivrebbe come mutilati, privi di qualcosa che ti fa respirare a pieni polmoni. Si sperimenterebbe l’assoluta mancanza di una presenza che ti renderebbe completo.”
In un saggio di Alberto Gramiccia intitolato Fragili eroi, l’autore ci parla di questo tipo di sofferenza che sperimenterebbero tutte le persone sensibili per natura, che non sono solo gli artisti o i grandi personaggi, ma tutti coloro che non si rassegnano a una vita da amebe, ma che si collocano in una prospettiva che si ostina a ricercare un senso profondo a ciò che vivono.
Gramiccia li definisce per l’appunto FRAGILI EROI.
Ma chi sono?
I fragili eroi si circondano di solitudine che fa riflettere. Lavorano in sordina. Non per dimostrare agli altri, ma per farlo vedere a quell’esserino cocciuto che alloggia nella loro testa e che li tormenta.
La loro sensibilità nei confronti delle situazioni esterne, dei mondi in cui entrano in contatto è talmente grande, i loro occhi talmente assorbiti dai particolari che sono costretti a lasciar spazio a tutto questo dentro di sè e a portarlo come un fardello che a volte si alleggerisce, a volte si appesantisce ancora di più.
La vita di ognuno è per antonomasia espressione del contrasto insanabile tra desiderio di immortalità e di infinito e la consapevolezza del limite umano.
Chi è sensibile, prendiamo per esempio l’ artista, non può non avvertire questo contrasto e quindi sperimenta la fragilità.
Molto spesso si considera la fragilità come una caratteristica negativa. Essere considerati fragili e non forti è tremendamente offensivo, soprattutto al giorno d’oggi, in un mondo che respinge la debolezza, in cui campeggia l’idea che l’uomo debba essere forte per essere di successo.
Gramiccia sostiene al contrario che non esiste forza senza fragilità!
Cioè nella vita gli opposti sono sempre strettamente connessi. Spesso e volentieri, da una fragilità nasce una forza inaspettata. Anzi, ancora di più non c’è mai una forza autentica senza una vera debolezza che la generi.
Quindi la forza del fragile eroe sta nella consapevolezza di potersi rompere come un vaso segreto. Solo se si rompe esce qualcosa di sconosciuto e prezioso.
“Gli eroi sono fragili per forza, se no non sono eroi. Non sono eroi gli spacconi e gli incoscienti che all’occasione sfidano la sorte. (…) Il loro approccio non ha nulla a che vedere con l’eroismo. Con esso invece ha a che vedere la sofferenza cupa del quotidiano, l’angoscia del vivere e del morire, la melanconia alla quale chi ha forza e qualità sufficienti reagisce. (…) Gli artisti sono eroi per forza. Cioè penso a chi ritrova nell’arte una prospettiva generale di risposta alla propria condizione di finitezza e della propria vulnerabilità… Penso che l’arte si presti a questo più che a tutto il resto. Non ho mai mancato di constatare negli artisti una miscela di fragilità e di potenza creativa. Mai ho osservato l’una senza l’altra. Mai la potenza si è data senza la debolezza e il coraggio senza la paura.”
Grazie del nostro incontro Primo!
Alla prossima!
Stay tuned!
Immagine: Joseph Beuys, Terremoto in palazzo, 1981
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