Per continuare il discorso arte = vita, oggi mi viene voglia di parlarvi di Sophie Calle, artista contemporanea francese nata a Parigi negli anni ’50.
Ma ve la voglio far conoscere attraverso la penna di Paul Auster, grandissimo scrittore americano che nel suo romanzo Leviatano, fa vivere la sua personalità complessa in uno dei protagonisti del racconto, Maria Turner.
Buona Lettura!
“All’inizio del ’79, circa tre o quattro mesi dopo il mio ritorno a New York, conobbi Maria Turner. All’ epoca aveva ventisette o ventotto anni: era una ragazza alta, e sicura di sé, dal viso scarno e ossuto. Era tutt’altro che bella ma i suoi occhi grigi avevano un’intensità che mi attraeva e mi piaceva il modo in cui si muoveva, con una sorta di grazia compita, sensuale, una riservatezza che a tratti si smascherava in piccoli guizzi di erotica insicurezza (…)
Mi diede l’impressione di essere una brava ragazza borghese che era riuscita a padroneggiare le regole del comportamento sociale, ma allo stesso tempo era come se non ci credesse più, come se custodisse un segreto che avrebbe o non avrebbe voluto confidarti, a seconda dell’umore del momento.
Viveva in un loft a Duane Street, non lontano da Varick Street, dove abitavo io.
Col passare del tempo, capii che era semplicemente eccentrica, un originale che viveva seguendo una complessa serie di bizzarri rituali personali. Per lei ogni esperienza era regolata secondo un sistema, era un’avventura compiuta che generava i propri rischi e le proprie limitazioni, e ogni suo progetto rientrava in una categoria diversa, separato da tutti gli altri.
Maria era un’artista, ma la sua attività non aveva nulla a che vedere con la creazione di oggetti comunemente definiti artistici. Secondo alcuni era una fotografa, secondo altri era una concettualista, mentre altri ancora la consideravano una scrittrice, ma nessuna di queste definizioni era esatta, e alla fine non credo che si presti a essere etichettata in nessuna maniera.
Il suo modo di lavorare era troppo folle, troppo stravagante, troppo personale per essere associato a qualsiasi mezzo espressivo o disciplina. Le venivano in mente delle idee, lavorava a dei progetti e venivano fuori dei risultati concreti che potevano essere esibiti nelle gallerie, ma questa attività non nasceva tanto dal desiderio di fare arte, quanto da quello di assecondare le sue ossessioni, di vivere la sua vita esattamente come voleva.
Vivere veniva sempre al primo posto, e diversi dei suoi progetti più lunghi, li realizzava in gran segreto senza mai mostrarli a nessuno.
Fin dall’età di 14 anni aveva messo da parte tutti i regali di compleanno che le avevano fatto, e li teneva ancora incartati diligentemente allineati in ordine di anno su degli scaffali. Da quando era divenuta adulta, ad ogni compleanno organizzava una cena in proprio onore, invitando lo stesso numero di ospiti degli anni che compiva. Certe settimane seguiva quella che chiamava la dieta cromatica, in cui ogni giorno doveva mangiare esclusivamente cibi di un unico colore. Lunedì, arancione: carote, melone, gamberetti lessi. Martedì, rosso: pomodori, cachi, bistecca alla tartara. Mercoledì: bianco: passera di mare, patate e formaggio. Giovedì, verde: cetrioli, broccoli, spinaci e così via, fino all’ultimo pasto della domenica.
Altre volte faceva divisioni analoghe basate sulle lettere dell’alfabeto. Giornate intere sarebbero trascorse all’insegna della B, della C, o della W e poi, con la stessa repentinità con cui l’aveva iniziato, abbandonava il gioco per passare a qualcos’altro.
Probabilmente non erano che capricci, minuscole sperimentazioni con il concetto di classificazione e di abitudine, ma questo genere di giochi poteva benissimo andare avanti per diversi anni.
Come per esempio il progetto di vestire il signor L., uno sconosciuto che aveva incontrato una volta ad una festa. Secondo Maria era uno degli uomini più belli che avesse mai visto in vita sua, ma vestiva in modo penoso, e così, senza annunciare le sue intenzioni a nessuno, si era assunta il compito di migliorare il suo guardaroba. Ogni anno a Natale gli mandava un regalo anonimo – una cravatta, un pullover, una camicia elegante – e poichè il Signor L. frequentava grosso modo le sue stesse cerchie, di tanto in tanto lo incontrava per caso e notava con piacere gli evidenti cambiamenti nel suo modo di vestire. In quelle occasioni era capace addirittura di avvicinarsi a lui per fargli i complimenti sul vestiario, ma senza andare oltre, e l’uomo non capì mai che era stata lei a mandargli quei regali a Natale.
(…) Quando si trasferì a New York i primi mesi si sentì sola e disorientata. Non aveva amici e una vita degna di questo nome, e la città le appariva minacciosa ed estranea, come se non ci fosse mai stata prima. Senza un motivo cosciente cominciò a seguire degli estranei per la strada, scegliendo qualcuno a caso quando usciva al mattino e lasciando che quella scelta determinasse i suoi movimenti per il resto della giornata. Questa abitudine divenne un nuovo modo per trovare idee, per riempire quel vuoto che sembrava averla ingoiata. Infine cominciò a portare con sé la macchina fotografica e a scattare foto delle persone che seguiva. Quando la sera tornava a casa annotava i luoghi dove era stata e quello che aveva fatto, utilizzando gli itinerari degli sconosciuti per fare congetture sulle loro vite.
Per il suo progetto successivo, Maria prese un lavoro temporaneo come cameriera di piano in un grande albergo del centro. Lo scopo era quello di raccogliere informazioni sugli ospiti, ma non in modo invadente o compromettente. In realtà li evitava di proposito limitandosi a ciò che riusciva ad apprendere dagli oggetti sparsi per le stanze. Scattò ancora fotografie; inventò ancora storie di vita da attribuire a quelle persone basandosi sulle tracce che aveva a disposizione. La sua era un’archeologia del presente, per così dire, un tentativo di ricostruire l’essenza di qualcosa partendo esclusivamente da frammenti minimi: la matrice di un biglietto, una calza strappata, una macchia di sangue sul colletto della camicia.
Seguirono altri lavori, tutti guidati dallo stesso spirito investigativo, dalla stessa passione per il rischio. Il suo soggetto era l’occhio, il dramma dello spiare e dell’essere spiati, e i suoi interventi rivelavano le stesse caratteristiche che erano presenti in lei: un’attenzione meticolosa per i dettagli, una fede nelle strutture arbitrarie, una pazienza al limite della sopportazione.”
In Leviatano di Auster così come nella vita reale, Sophie alias Maria con tutte le sue attività e rituali fa una cosa molto semplice…
Vive a modo suo mossa da esigenze di natura personale…
I suoi progetti si strutturano spontaneamente per la soddisfazione materiale delle proprie ossessioni. Le opere che ne escono sono una sottile forma di dialogo con l’interlocutore, una ricerca costante di testimoni ricettivi e partecipi.
La cosa che colpisce nella lettura di questo estratto di Paul Auster è la descrizione di una persona che non teme giudizi, che fa venire fuori tutta la sua vera natura, anche quella che potrebbe risultare agli occhi dei meno aperti mentalmente più bizzarra e fuori luogo.
Tutti hanno ossessioni, tutti hanno problemi, tutti hanno delle stranezze di cui si vergognano, tutti hanno più di un errore o un’esperienza negativa nei propri curriculum, tutti possiedono un lato del proprio carattere che li mette in difficoltà con il prossimo.
Sophie alias Maria ha una personalità eccentrica, a tratti folle e maniacale.
Ma la accetta di buon grado. Le lascia prendere la sua strada senza frenarla.
Si prende cura di sè… Quello che dovrebbero fare un po’ tutti! Quindi…
Prenez soin de vous!
Alla prossima! Con la spiegazione di questo straordinario progetto di Sophie Calle!
traduzione: ABBI CURA DI TE!
Stay tuned!!!!!
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